CONTRO L'ECCELLENZA
Andrea Bellelli

      L'Italia e' uno strano paese, nel quale molte idee che avrebbero rilievo per la cultura sociale del paese vengono dimenticate o ignorate e solo occasionalmente qualcuna di esse entra nel lessico comune e trova persino applicazione. In questi casi gli intellettuali del paese sembrano incapaci di esercitare critiche o analisi e di solito spingono l'idee alle sue conseguenze piu' estreme, facendone una caricatura. E' quanto e' accaduto con l'idea della valutazione dell'Universita' e della Ricerca.

      Proviamo a fare il punto: e' chiaro che valutare le prestazioni di un sistema e' sempre utile, tanto piu' se questo sistema e' finanziato con i soldi dei cittadini. Ben vengano quindi le valutazioni dell'Universita' e della Ricerca. Ma a che scopo si valuta? I Ministri dei vari governi Berlusconi avevano l'obiettivo di punire l'Universita' e la cultura in genere: costano soldi che i politici non possono devolvere a se stessi o al proprio collegio elettorale, elevano culturalmente i cittadini che diventano meno sensibili alla facile propaganda televisiva, a volte sono sede di dissenso o opposizione politica.
      Cassati i motivi precedenti per ovvia inammissibilita', e' lecito e doveroso valutare l'Universita' pubblica in relazione allo scopo di garantire la qualita' omogenea sul territorio nazionale dei laureati: in molti casi il laureato diventa un funzionario, garantisce un servizio e deve essere all'altezza del suo ruolo. Si consideri come esempio la Facolta' di Medicina e Chirurgia che produce i professionisti del Servizio Sanitario Nazionale.

      Valutare quindi per portare al livello minimo migliore possibile TUTTE le Universita' dello Stato: un obiettivo anti-meritocratico che deve ridurre le differenze qualitative esistenti tra le varie sedi universitarie, non aumentarle; innalzare gli ultimi, non premiare i primi della classe. Su questo punto molti intellettuali italiani hanno mostrato grande superficialita', accettando supinamente l'idea che fosse utile premiare i primi e punire gli ultimi. QUESTA E' LA MERITOCRAZIA DI UN PAESE CHE NON E' CAPACE DI FARE LA NORMALITA' E VORREBBE PERSEGUIRE L'ECCELLENZA; peggio ancora di un paese che vorrebbe perseguire l'eccellenza a spese della normalita'. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che la prestazione finale di un sistema complesso non puo' essere migliore di quella offerta dal peggiore dei suoi componenti: per restare all'esempio della Facolta' di Medicina e Chirurgia, se, corna facendo, vi dovesse servire un pronto soccorso di notte, vorreste che il peggior medico sia almeno sufficiente. Non vi preoccupereste in quel caso del luminare perche' tanto il luminare non sta al pronto soccorso di notte.

      Poiche' l'eccellenza costa cara, alcuni intellettuali e scienziati italiani hanno tirato fuori un altro coniglio dal cappello (quante cose si possono fare con un cappello): ridurre il numero delle Universita' del paese allo scopo di poterle finanziare meglio. Anche un bambino sarebbe capace di dire: "meglio poco ma buono piuttosto che tanto ma cattivo".
      Ai bambini l'ingenuita' si perdona, agli intellettuali no: l'Universita' deve soddisfare il fabbisogno di intellettuali del paese e l'Italia non ha un eccesso di laureati o di studenti universitari, semmai un difetto, rispetto a tutti i paesi europei confinanti. QUESTA E' L'ECCELLENZA PERSEGUITA A DISCAPITO DELLA NECESSITA': ho gia' pubblicato questa analisi sul Fatto Quotidiano (ripresa anche da ROARS). Per riassumerla in due parole: l'Italia ha bisogno di tutte le sue Universita' per soddisfare, a malapena il suo fabbisogno di laureati. Ridurre il numero delle Universita' avrebbe conseguenze catastrofiche per il paese, ed un impatto dubbio sulla sua produttivita' scientifica (le classifiche internazionali valutano la produttivita' globale: si ottiene qualcosa se riducendo le Universita' quelle residue producono il triplo, quadruplo, etc. di prima, ipotesi inverosimile).