L'OMEOPATIA

    L'omeopatia e' una teoria medica sviluppata all'inizio del 1800 da Samuel Hahnemann, un medico dotato di grande cultura e acume. Nell'omeopatia si ritrovano tracce di ipotesi mediche risalenti all'epoca greco-romana, in particolare l'ipotesi che una malattia possa essere curata con un farmaco che causa sintomi simili. Purtroppo, pero' Hahnemann disprezzava i medici suoi contemporanei e le loro teorie (che erano invece alquanto avanzate), negava il valore scientifico dell'anatomia patologica e fondo' la sua teoria sulla sola analisi dei sintomi, una posizione gia' allora decisamente obsoleta. Per di piu', con l'avanzare dell'eta', Hahnemann inclinava sempre piu' verso un misticismo dogmatico e criticava aspramente non soltanto i medici che non praticavano l'omeopatia ma perfino i suoi stessi allievi se questi non erano completamente proni alla sua dottrina, che includeva vari riferimenti ad entita' "spirituali" tanto nella malattia e nella fisiologia quanto nella farmacologia. Dopo la morte di Hahnemann, i suoi discepoli e seguaci si divisero in varie scuole, alcune piu' razionalistiche e inclini a compromessi con la medicina convenzionale (i cosiddetti "mezzi omeopati"), altre piu' estremistiche. Il piu' noto difetto teorico dell'omeopatia, ma non il principale e' il ricorso a diluizioni estreme dei farmaci, tali che il "rimedio" omeopatico non contiene piu' neppure una molecola della sostanza o miscela da cui prende il nome. L'efficacia delle terapie omeopatiche, nella migliore delle ipotesi e' modesta e certamente non giustifica le pretese degli omeopati; inoltre gli studi nei quali sono riportati i risultati piu' favorevoli sono spesso quelli metodologicamente piu' dubbi. Per contro sono ampiamente riportati danni ed effetti collaterali importanti relativi a terapie omeopatiche, spesso dovuti all'adulterazione accidentale o intenzionale dei rimedi [1].


 

 
 
LA TEORIA DI HAHNEMANN

 
    La teoria omeopatica fu elaborata da Samuel Hahnemann (1755-1843) a partire dal 1796 e rimaneggiata dai suoi allievi e successori in vari modi, spesso incoerenti tra loro e con l'originale. I suoi capisaldi fondamentali sono:
1) la legge dei simili, secondo la quale una malattia puo' essere curata con quel farmaco o veleno che ne riproduce il piu' possibile i sintomi: similia similibus curentur (il simile sia curato dal simile) o similia similibus curantur (il simile e' curato dal simile).
2) L'ipotesi vitalistica, secondo la quale l'organismo vivente e' tale grazie ad una forza di natura spirituale che lo abita, la dynamis o forza vitale.
3) La necessita' dell'individualizzazione assoluta della terapia: ogni caso clinico e' sostanzialmente unico e non assimilabile a nessun altro.
4) la legge degli infinitesimi, secondo la quale il rimedio omeopatico rimane attivo, o aumenta la sua attivita' se la dose viene ridotta o addirittura annullata grazie ad un procedimento di diluizioni seriali.
    Come tutti i riformatori, Hahnemann rifiutava e denigrava la tradizione medica ed invitava i suoi seguaci ad abbandonare i libri e a dedicarsi all'osservazione della natura. Pero', poiche' scrisse vari libri, egli intendeva che fossero rifiutati i classici della medicina, non i libri in generale, ed i suoi in particolare. E' notevole come Hahnemann non si ponesse il problema che i classici fossero basati su osservazioni buone quanto le sue, ne' che nessuno puo' investigare compiutamente una disciplina ricorrendo esclusivamente alla sua esperienza e rinunciando a quella altrui: ad esempio egli rifiutava l'anatomia patologica e non praticava autopsie; pertanto l'omeopatia rinunciava a priori ai dati forniti da questa branca della medicina, gia' solidamente affermata. Un secolo dopo, alcuni tra i successori di Hahnemann pretesero di rinunciare alle scoperte di Koch e Pasteur, proseguendo e rinforzando questa emarginazione della loro disciplina, e rendendola perspicua non solo per i suoi (stravaganti) contenuti, ma anche per le sue (clamorose) omissioni.
 
 
    La LEGGE DEI SIMILI appartiene ad una tradizione medica molto antica [
2], ma Hahnemann credette di riscoprirla a seguito di un esperimento che egli condusse su se stesso autosomministrandosi estratti di corteccia di Cinchona, la cura allora in uso per la malaria (dalla Cinchona si estrae il chinino, un antimalarico ancora in uso). Ad Hahnemann sembro' che l'intossicazione che si era procurato avesse una rassomiglianza con la malaria e ipotizzo' che la ragione dell'efficacia della Cinchona fosse la sua capacita' di indurre sintomi simili a quelli della malaria. Questo esperimento (condotto verso il 1790) ha una grande importanza per lo sviluppo della teoria e merita una discussione dettagliata [3].
    La legge dei simili appare in una pubblicazione del 1796 e sostiene che una malattia puo' essere permanentemente curata ed estinta da un farmaco che causi nell'individuo sano sintomi simili a quelli presenti nel malato. Nella teoria di Hahnemann la malattia e' una alterazione dinamica, spirituale, della forza vitale ed il suo unico aspetto materiale e' dato dai suoi sintomi [Hahnemann, Organon VI ed. 71, 4]: non c'e' spazio in questa teoria per la lesione anatomica o per l'alterazione biochimica. L'anatomia patologica all'epoca di Hahnemann era gia' una scienza consolidata [5] e l'omeopatia nasceva obsoleta, anche se i primi omeopati non se ne erano accorti.
    Idealmente, secondo Hahnemann, si dovrebbe somministrare un solo farmaco alla volta e non ripetere la somministrazione finche' non sia ovvio che il paziente non e' guarito ma anzi la malattia prosegue, nella stessa forma di prima o in un'altra (nei suoi ultimi scritti Hahnemann mantenne il divieto di somministrare piu' farmaci insieme, ma suggeri' che la dose prescelta di ogni singolo farmaco dovesse essere somministrata ogni giorno).
    Hahnemann offre due distinte giustificazioni della legge dei simili:
1) IPOTESI DELLA MALATTIA TERAPEUTICA: poiche' la malattia non ha substrato materiale (ad es. anatomopatologico o microbiologico), e' possibile sostituire la malattia "naturale" del paziente con una malattia iatrogena, cioe' causata dai farmaci, purche' la seconda sia molto simile alla prima nei sintomi ma piu' grave [
Hahnemann, Organon VI ed., par.26]. A differenza della malattia naturale, quella terapeutica e' sotto il controllo del medico che puo' interromperla interrompendo la somministrazione del farmaco. La terapia passa quindi attraverso la sostituzione della malattia naturale con un'altra malattia, ed e' la seconda ad essere guarita, non la prima. L'ipotesi che una malattia possa guarirne un'altra appartiene anch'essa alla storia della medicina, ma in una forma empirica e non sistematica.
2) IPOTESI DELLA REAZIONE DELL'ORGANISMO: il farmaco omeopatico stimola una reazione dell'organismo piu' intensa di quella gia' in atto e promuove i processi autoriparativi [
7: Hahnemann, Organon VI ed., par.66]. Poiche' lo stimolo e' simile a quello della malattia naturale (i sintomi causati dal farmaco e dalla malattia sono gli stessi) anche la reazione dell'organismo va nella stessa direzione. Questa ipotesi e' analoga a quella gia' presente nei testi greci piu' antichi.
    Queste due ipotesi non sono tra loro alternative, ma non sono neppure logicamente collegate: sono semplicemente distinte e indipendenti. Infatti e' possibile ipotizzare che l'organismo reagisca piu' fortemente alla malattia terapeutica che a quella naturale, ma questa terza ipotesi non e' implicita ne' nella prima ne' nella seconda delle due originali. Purtroppo entrambe le ipotesi di Hahnemann sono erronee e non corrispondono alla realta' dei fatti, se non in casi particolari, impossibili da generalizzare; di conseguenza la loro valutazione e' puramente logica ed appartiene alla storia della medicina, non alla scienza medica attuale. Se le terapie omeopatiche funzionano (e ci sono ottime ragioni di dubitarne) questo avviene per motivi diversi da quelli ipotizzati da Hahnemann.
 
 
    Il VITALISMO era una teoria proposta nel XVII secolo da chimico G. Stahl e abbastanza in voga all'epoca di Hahnemann (ed anche dopo). Al vitalismo aderirono scienziati prestigiosi, da Bichat a Pasteur, e l'omeopatia non si identifica col vitalismo, anzi Hahnemann ricorse ad esso per giustificare e rendere plausibile la legge dei simili, e fu costretto a fare aggiunte e modifiche all'ipotesi originale.
    L'ipotesi essenziale del vitalismo stabilisce che gli esseri viventi sono animati da una energia caratteristica, la forza vitale, e muoiono se la consumano o la perdono. Stahl pensava che nell'organismo si contrapponessero fenomeni chimici e fisici, il cui fine ultimo era la decomposizione dell'organismo stesso, e processi vitali, che si opponevano ai primi [
8]. Egli non poteva sapere che i processi di putrefazione del cadavere sono dovuti a batteri (questa dimostrazione e' dovuta alle ricerche di Pasteur e dei suoi successori, iniziate verso il 1860) e riteneva che rappresentassero i fenomeni di decomposizione chimica, non piu' impediti dall'azione della forza vitale. Per Stahl la forza vitale e' un fenomeno naturale come le energie della fisica e della chimica, che deve essere indagato scientificamente. Bichat, medico e anatomista francese contemporaneo di Hahnemann, accettava le ipotesi di Stahl e attribuiva alle forze vitali i fenomeni fisiologici della reattivita' (motilita', secrezione) e della sensibilita'; non e' pero' chiaro dai suoi scritti in che modo questi possano prevenire la decomposizione. Il testo fondamentale di Bichat e' liberamente accessibile sulla Biblioteca Digitale della SIB.
    L'idea di Hahnemann era piu' ampia: egli accettava tuttte le ipotesi precedenti, ed aggiungeva quella secondo la quale la forza vitale e' un'entita' "spirituale" o "dinamica" [9], cioe' non legata alla materia che costituisce il corpo. Hahnemann aveva abbracciato il vitalismo relativamente tardi, molto dopo l'esperimento con la Cinchona che lo aveva convinto della legge dei simili: per lui il vitalismo era una teoria in grado di spiegare la sua dubbia scoperta. Hahnemann riteneva che ogni malattia fosse un'alterazione della forza vitale e che i sintomi ne fossero la manifestazione: il sintomo non era una conseguenza della malattia, ma la malattia stessa, o almeno la parte materiale ed osservabile di essa. Il farmaco possedeva (sempre secondo Hahnemann) una sua forza spirituale tale da perturbare la forza vitale del paziente, e solo grazie a questo intreccio di energie immateriali era possibile indurre la malattia terapeutica al posto di quella naturale.
    Nonostante i tentativi di Hahnemann, il vitalismo non offre una spiegazione convincente della legge dei simili. Infatti una ovvia obiezione all'ipotesi della malattia terapeutica e' che non c'e' ragione per cui questa dovrebbe sostituirsi, e non affiancarsi, alla malattia naturale (ed il paziente si troverebbe ad averne due). Per superare questa obiezione Hahnemann postulava che la forza vitale non avesse memoria e non potesse "ricordare" la malattia naturale in presenza di quella terapeutica [Organon, V ed., par.34]. Ma naturalmente, se l'ipotesi fosse vera, comporterebbe anche che tutte le malattie non immediatamente mortali dovrebbero guarire, perche' la forza vitale non serba memoria dell'iniziale perturbazione e, se il paziente non muore e la causa della malattia viene rimossa, la guarigione prima o poi dovrebbe essere inevitabile, anche in assenza di una terapia omeopatica. D'altra parte, se la causa non viene rimossa, la malattia naturale dovrebbe ripresentarsi dopo la fine della terapia omeopatia.
 
 
    Secondo Hahnemann la malattia e' una perturbazione "dinamica" (cioe' non materiale) della forza vitale e si manifesta attraverso le alterazioni delle funzioni di quest'ultima: sensazioni e reazioni motorie o secretive. Sempre secondo Hahnemann, tutti i sintomi che il paziente presenta non sono altro che alterazioni delle funzioni attribuite alla forza vitale che viene perturbata dalla malattia; nessun sintomo e' casuale o non correlato agli altri e la malattia, quando si instaura, prende il controllo dell'intero organismo e determina tutti i sintomi, nessuno escluso [
4].
    L'insistenza sulla necessita' di investigare la totalita' dei sintomi comporta la paradossale conseguenza che ogni caso di malattia e' diverso da ogni altro ed impedisce qualunque sorta di classificazione o raggruppamento: OGNI CASO CLINICO E' SOSTANZIALMENTE UNICO. Questo aspetto della teoria Hahnemanniana e' particolarmente problematico: infatti si oppone al tentativo dei medici contemporanei, precedenti o successivi di riconoscere somiglianze tra casi diversi allo scopo di poter classificare le malattie. La classificazione delle malattie, a sua volta, e' finalizzata a riconoscere i fattori eziologici caratteristici di ciascuna; ed era ovvio gia' a Francesco Bacone, nel 1620, che solo attraverso il riconoscimento di somiglianze e caratteristiche comuni e' possibile l'investigazione scientifica dei fattori che determinano il realizzarsi degli eventi naturali. Hahnemann accusava i medici suoi contemporanei di essere grossolani nelle loro diagnosi basate sui soli sintomi comuni, ma mancava di riconoscere che dal suo insieme di casi unici non poteva scaturire nessuna conclusione generalizzabile.
    Poiche' l'INDIVIDUALIZZAZIONE dei casi clinici si oppone alla classificazione, che richiede il riconoscimento di somiglianze e fattori comuni, l'omeopata essenzialmente rifiuta o sottovaluta i concetti della diagnosi, l'assegnazione di un caso clinico ad una classe nosologica, e della prognosi, la predizione dell'evoluzione della malattia basata sull'esperienza di casi simili a quello attuale.
 
 
    La LEGGE DEGLI INFINITESIMI stabilisce che l'azione del farmaco non diminuisce ma aumenta se il farmaco viene diluito (e quindi se la dose somministrata viene ridotta), purche' la diluizione sia accompagnata da un energico mescolamento (succussione).
    I farmaci di Hahnemann erano per definizione dei veleni: infatti per la legge dei simili il farmaco deve essere in grado di produrre sintomi simili a quelli della malattia del paziente. Di conseguenza somministrare i farmaci omeopatici comportava un rischio elevato, come Hahnemann aveva scoperto con la Cinchona. Per ridurre il rischio ed il disagio del paziente Hahnemann inizio' a diluire i suoi farmaci (all'epoca in prevalenza estratti vegetali).
    Il metodo di Hahnemann era il seguente: il farmaco desiderato viene disciolto in acqua o acqua e alcol nella quantita' di 1g/100ml (se e' un liquido o un estratto vegetale la quantita' e' 2ml/100ml per tenere conto del diluente gia' presente; se e' insolubile si disperde 1g di sostanza in 99 g di lattosio solido mescolando in un mortaio) per ottenere la "tintura madre" all'1% (nel linguaggio di Hahnemann la soluzione o potenza 1c). Si prende quindi 1ml della 1c (o 1g se la 1c e' una polvere) e lo si diluisce di nuovo a 100ml con acqua (o a 100g con lattosio se e' una polvere), mescolando energicamente (succussione), per ottenere la 2c. Si ripete il procedimento precedente varie volte, per ottenere la 3c, la 4c, etc. fino alla 30c e oltre. La serie centesimale qui descritta non e' l'unica possibile (sono in uso anche la decimale e la cinquanta-millesimale) ma e' quella usata con maggiore frequenza. Poiche' il numero di molecole del farmaco presenti nella tintura madre e' finito e puo' essere calcolato con certezza, anche se varia a seconda della sostanza considerata, e' del tutto fuori di dubbio che alle diluizioni pari o superiori alla 11-12c (e per molte sostanze anche a diluizioni alquanto inferiori) la dose di preparato somministrata al paziente non contiene neppure una molecola del farmaco. Si deve inoltre considerare che molti rimedi omeopatici non sono sostanze pure, ma estratti vegetali crudi, che contengono le sostanze attive in quantita' piccole anche alla 1c.
    Gli omeopati chiamano spesso "potenze" le loro diluizioni ed impiegano sia le basse potenze (4c-8c) che le medie (15c-30c) e le alte potenze (>30c). Nella dose somministrata al paziente dei rimedi omeopatici ad alta potenza non puo' essere presente neppure una sola molecola del farmaco, e questo punto ha costituito un ostacolo insormontabile per gli omeopati, ma si deve tenere presente che le diluizioni omeopatiche di bassa potenza non sono prive di farmaco.
    C'e' una evoluzione nel pensiero di Hahnemann sull'effetto delle diluizioni, che e' stata ricostruita in dettaglio dall'omeopata inglese R. Hughes. Nel periodo 1796-1798 Hahnemann somministrava i suoi farmaci dosi di qualche grano (1 grano = 65 mg), mentre nel 1799 aveva cominciato a diluire gli stessi farmaci in miscele di acqua e alcol in proporzione di 1:2.000 e somministrava al paziente dosi di una diecina di gocce della soluzione cosi' ottenuta. Nelle pubblicazioni del 1801-1806 Hahnemann parla di diluizioni fino ad 1:1.000.000. Soltanto dopo il 1809 il metodo di Hahnemann si stabilizza sui sistemi di diluizioni seriali con base 10 o 100 in uso ancora oggi [
Hughes, 1878]. In parallelo con l'aumento della diluizione Hahnemann modifico' anche la legge degli infinitesimi: all'inizio della sua carriera di omeopata egli usava la dilizione allo scopo di rendere il farmaco meno tossico e piu' tollerabile per il paziente, ma piu' avanti nel tempo egli si convinse che l'attivita' farmacologica aumentava all'aumentare della diluizione (di qui il concetto di "potenza"). Infatti quando Hahnemann adotto' l'ipotesi del vitalismo, attribui' l'effetto dei farmaci ad una loro forza vitale (spirituale), che veniva liberata dal processo di diluizione e succussione. Questa ipotesi era assurda anche rispetto al vitalismo: infatti i farmaci erano sostanze inanimate, per definizione prive della forza vitale.

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   RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E NOTE
1: Alcuni siti interessanti:
sito del CICAP - speciale omeopatia
Quackwatch
Documento sull'omeopatia della NCAHF
La voce dell'altro: siti web di alcune societa' di omeopatia
Homeopathy Home (su questo sito e' possibile consultare, tra l'altro, una copia online dell'Organon)
Societa' Italiana di Medicina Omeopatica (SIMO)
Simillimum

2: La terapia mediante i simili nel Corpus Ippocraticum.
La terapia attraverso i simili (cioe' mediante farmaci o mezzi fisici che inducono sintomi simili a quelli presentati dal paziente) sebbene apparentemente controintuitiva appartiene alla storia della medicina e precede Hahnemann di due millenni: infatti la si puo' ritrovare negli scritti greci del Corpus Ippocraticum, una collezione di testi eterogenei i piu' antichi dei quali risalgono al V secolo a.C., dei quali Hahnemann era certamente a conoscenza grazie al suo lavoro di traduttore. Non era in auge nel XVIII secolo ed Hahnemann la riesumo' a seguito del suo esperimento sulla corteccia di Cinchona.
Il Corpus Hippocraticum comprende scritti di autori che suggeriscono la terapia mediante i simili e scritti di autori che raccomandano invece l'uso dei contrari, e riflette due tradizioni culturali diverse, che potremmo definire della malattia come processo naturale, piu' empirica, e della malattia come processo innaturale, piu' legata alla speculazione teorica. Entrambe le tradizioni fanno esteso riferimento alla teoria degli umori.
La TEORIA DEGLI UMORI non giunse mai alla completezza logica e formale ed e' quindi difficile da enunciare; ipotizza che nel corpo si formino e siano utilizzati un certo numero di liquidi (umori). L'umore il cui destino e' stato formalizzato nel modo piu' completo e' il sangue, e percio' per avere un'idea del presunto ruolo fisiologico degli umori conviene prendere ad esempio il sangue e seguirne le vicissitudini (facendo pero' riferimento ad una formalizzazione alquanto successiva a quella dei primi scritti di medicina).
Il SANGUE si forma inizialmente nel fegato a partire dal materiale di origine alimentare proveniente dalla digestione dei cibi e trasportato al fegato dalle vene mesenteriche. Il processo di maturazione viene chiamato CONCOZIONE, ed e' immaginato come simile alla cottura del cibo. Dal fegato il sangue neoformato viene inviato al cuore attraverso la vena cava inferiore e la concozione non soltanto continua ma si aggiunge al mescolamento con gli altri umori del corpo e con lo pneuma (il respiro). Dal cuore il sangue viene inviato, attraverso le arterie e le vene, in tutto l'organismo ad irrigare gli organi, come l'acqua irriga i campi. I tessuti e gli organi si nutrono di sangue, o forse il sangue stesso si trasforma in tessuti ed organi, e questo mantiene le funzioni vitali dell'organismo. E' importante notare che in questa teoria il sangue non circola, ma si sposta una volta sola, secondo il percorso descritto (che presenta notevoli incongruenze), dal fegato dove e' prodotto ai tessuti dove e' consumato.
Gli altri umori, che secondo alcuni autori sono soltanto tre (flegma, bile gialla e bile nera), e secondo altri molti di piu', hanno un destino simile ma seguono percorsi meno ben definiti e le stazioni rilevanti per la concozione sono diverse (ad es. il cervello sarebbe importante per la maturazione del flegma, e la milza per quella della bile nera). Le teoria assegna agli organi dell'organismo due tipi principali di funzioni: alcuni organi sono stazioni del processo di concozione e mescolamento degli umori (l'intestino, la milza, il fegato, il cervello, etc.), il processo vegetativo per eccellenza; altri organi, nutriti dagli umori, sono rilevanti per i processi sensoriali, motori, razionali ed affettivi. Occasionalmente, alcuni organi sono implicati in entrambe le funzioni (ad es. il cuore).
Nei piu' antichi testi del Corpus Ippocraticum, attribuiti ad Ippocrate stesso e alla sua scuola (di Cos), la malattia e' descritta come una condizione nella quale il processo di maturazione degli umori e' alterato. Una causa imprecisata (il freddo, il vento, l'alimentazione inadeguata, etc.) provoca accumulo di un umore in una forma "cruda" o immatura; l'organismo reagisce cercando di incrementare i processi di concozione. Quando il medico vede il malato, la causa ha ormai agito e la malattia manifesta il tentativo dell'organismo di ripristinare l'equilibrio umorale.
Il medico che segue questa teoria sa di non potere lui stesso con la sua arte concuocere gli umori all'interno del corpo del paziente e si prefigge come scopo quello di aiutare i processi riparativi spontanei. La febbre e' il paradigma del processo riparativo: l'organismo aumenta la sua temperatura per cuocere l'umore immaturo; il medico riscalda il paziente febbricitante con coperte o bagni caldi per incrementare ulteriormente la concozione. Una teoria di questo genere e' alla base di alcune delle piu' famose massime della scuola Ippocratica: l'attribuzione della guarigione alla vis medicatrix naturae (la capacita' autocurativa dell'organismo) e il primum non nocere (poiche' l'organismo si cura soprattutto da solo, il medico deve preoccuparsi soprattutto di non causare danni ulteriori e di assistere blandamente i processi autocurativi).
In questa teoria medica la malattia e' soprattutto reazione autocurativa dell'organismo, ed esagera processi fisiologici che sono caratteristici dello stato di salute; coerentemente, la terapia non puo' che essere attraverso i SIMILI. Il sudore, il pus, il vomito, la diarrea non sono che tentativi dell'organismo di eliminare un umore immaturo e "crudo" ed e' utile aiutarne l'escrezione. Coerentemente, l'anatomia patologica e la diagnosi sono di modesta importanza, mentre sono di estrema importanza tutti i sintomi, sia quelli caratteristici della malattia, che si ritrovano uguali in tutti i pazienti (i COMMUNIA), sia quelli squisitamente individuali, diversi in ogni paziente (i PROPRIA) e la terapia deve essere individualizzata.
Ritengo inoltre che la terapia mediante i simili abbia un'altra giustificazione razionale. Gli autori del Corpus Ippocraticum conoscono due processi attraverso i quali la malattia lascia l'organismo del malato: la CRISI, improvviso apparente aggravamento talvolta fatale, talvolta foriero di guarigione, e la LISI, lunga e lenta convalescenza. E' probabile che la terapia mediante i simili potesse essere vista come un tentativo di precipitare la crisi (mentre la terapia mediante i contrari sarebbe un tentativo di opporsi alla malattia e indurre la lisi).
Gli autori della rivale scuola di Cnido (i cui scritti figurano comunque nel Corpus Ippocraticum), seguono una teoria alquanto diversa dalla precedente, secondo la quale la malattia non e' l'esagerazione o l'inadeguatezza di un processo fisiologico, ma un processo completamente diverso e potenzialmente dannoso, che deve essere combattuto e, se possibile, estirpato dall'organismo. L'umore patologico (pus, vomito, etc.) non e' crudo e immaturo, e' maturato male e non dovrebbe essere presente nell'organismo sano; solo eccezionalmente e' possibile promuoverne la concozione, ed in generale e' preferibile eliminarlo dall'organismo (anche chirurgicamente) ed impedirne la formazione. Questa teoria giustifica la terapia mediante CONTRARI, sottovaluta la vis medicatrix naturae e assegna al medico un ruolo piu' attivo, fino a mettere in discussione il primum non nocere: meglio sottoporre il paziente ad un rischio che lasciar andare avanti il processo patologico.
La teoria medica della scuola di Cnido assegna grande rilevo alla diagnosi, perche' e' questa che decide la terapia. Questo comporta due grandi contrasti con la medicina Ippocratica: i communia sono piu' importanti dei propria, perche' consentono la diagnosi, e la terapia non e' individualizzata sul paziente (cioe' sui propria), ma e' decisa in funzione della malattia che il medico crede di riconoscere. Per molti versi la teoria di Cnido (che sara' sei secoli piu' tardi il fondamento della medicina di Galeno e tramite questo diventera' la medicina ufficiale di tutto il medioevo) e' piu' moderna della sua avversaria; pero' l'insufficienza delle nozioni e degli strumenti di indagine dell'epoca ne penalizzano l'applicazione.
Un autore che prima di Hahnemann aveva rivisitato l'ipotesi della terapia medinate i simili e' PARACELSO. Teofrasto Hohenheim (1493-1541), che si era ribattezzato Paracelso per sottolineare la sua affinita' culturale con Celso, famoso medico di epoca romana, era autore di una teoria dei simili assai simile a quella greca. Le vicende biografiche e le ipotesi di Paracelso sono alquanto simili a quelle di Hahnemann: la peregrinazione tra citta' diverse, la violenta e sfortunata lotta verbale contro l'establishment dei medici e dei farmacisti, la presentazione di idee antiche come se fossero nuove ed originali, l'estensivo richiamo all'osservazione empirica contro il ragionamento e la tradizione culturale accettata. Paracelso riteneva che dovesse esistere una rassomiglianza tra la malattia e la sua cura, ma non limitava la rassomiglianza ai sintomi, e alcuni dei suoi parallelismi erano alquanto stravaganti.

3: L'ESPERIMENTO DELLA CINCHONA.
L'esperimento di Hahnemann con la corteccia di Cinchona in dosi molto elevate, condotto nel 1790, e' estremamente importante per lo sviluppo della sua teoria ed e' unico nella storia dell'omeopatia: non sono stati mai effettuati esperimenti analoghi. La logica dell'esperimento e' lineare: Hahnemann sapeva che la corteccia di Cinchona e' un antimalarico efficace, ma non sapeva perche' e non era soddisfatto delle spiegazioni proposte dai medici dell'epoca; inoltre Hahnemann come ogni medico dell'epoca conosceva bene i sintomi della malaria, una malattia allora alquanto diffusa, ed era in grado di fare una diagnosi affidabile.
Hahnemann non sapeva invece, come del resto nessun altro medico dell'epoca, quale fosse la causa della malaria: infatti il parassita unicellulare che causa la malattia sara' identificato da Laveran soltanto nel 1884 ed il suo ciclo vitale, che include l'uomo come ospite definitivo sara' chiarito da Ronald Ross nel 1897 e dai malariologi italiani Grassi, Bignami e Marchiafava nel 1898-99.
Hahnemann formulo' l'ipotesi che l'efficacia terapeutica del farmaco fosse connessa con i suoi effetti sull'organismo, anche in assenza della malattia. Le ricerche successive (non dovute ad omeopati) avrebbero dimostrato erronea l'ipotesi di Hahnemann: infatti la malattia e' causata da un microorganismo del genere Plasmodium che viene ucciso dal chinino, il farmaco contenuto nella corteccia di Cinchona; pertanto i sintomi che la corteccia causa nell'uomo, ed in particolare nell'uomo sano, sono irrilevanti ai fini dell'azione terapeutica.
Hahnemann, ignaro del difetto della sua ipotesi, ando' avanti con l'esperimento e si autosomministro' la corteccia in dosi cosi' elevate da procurarsi la grave intossicazione che oggi si chiama cinconismo. I sintomi del cinconismo non sono molto simili a quelli della malaria, anzi le due condizioni danno manifestazioni assai diverse, ma Hahnemann ritenne invece di notare una rassomiglianza che lo indusse a trarre la conclusione secondo la quale la Cinchona cura la malaria perche' causa sintomi simili. La generalizzazione indebita di questo unico esperimento mal concepito e male interpretato e' la legge dei simili, fondamento dell'omeopatia.
Forse la legge dei simili poteva sembrare plausibile anche perche' non era una novita' ma corrispondeva ad una ampia ed antica tradizione medica risalente agli scritti del Corpus Hippocraticum, una collezione di testi medici greci datati tra il V ed il IV secolo a.C. e rispolverata in tempi pi recenti da Paracelso (Teofrasto Hohenheim, 1493-1541). Ai contemporanei di Hahnemann la legge dei simili doveva sembrare nel migliore dei casi la riedizione di una teoria classica, nel peggiore la riesumazione di un folclore medico ormai obsoleto; di certo non era, ne' sembrava, una innovazione terapeutica rivoluzionaria come pretendono gli omeopati moderni.
Se si esclude la sua conformita' a ipotesi precedenti, il risultato dell'esperimento di Hahnemann con la Cinchona non e' ne' stringente ne' plausibile ed e' stato implicitamente criticato perfino da alcuni omeopati tra i quali l'inglese Richard Hughes. Hughes aveva infatti notato un grave errore logico nell'ipotesi di Hahnemann sulla Cinchona: la malaria puo' presentarsi con sintomi tipici quali la febbre ricorrente terzana o quartana, oppure in forme atipiche quali la febbre perniciosa, la febbre con ematuria (blackwater fever) e il coma febbrile (malaria cerebrale). La Cinchona cura sia le forme tipiche che quelle atipiche, nonostante i sintomi siano molto diversi; per contro la Cinchona non cura le febbri ricorrenti di natura non malarica, sebbene queste presentino un quadro sintomatologico molto simile a quello delle forme tipiche della malaria. Hughes conclude che il farmaco e' specifico per la malattia piuttosto che per i suoi sintomi, implicitamente negando la legge dei simili, che almeno nella formulazione di Hahnemann e' riferita ai sintomi, e ipotizza che la Cinchona causi una intossicazione globalmente (anziche' sintomatologicamente) simile alla malaria, e dissimile dalle febbri non malariche. Hughes chiama quindi in causa quei fattori anatomo-patologici e fisio-patologici dei quali Hahnemann aveva negato non solo l'importanza ma la stessa esistenza (Hughes 1893, A Manual of Pharmacodynamics, ed. B. Jain, New Delhi, India, 2001; lecture XXVI, p. 399).
Dopo l'esperimento con la Cinchona Hahnemann si era cosi' profondamente convinto della legge dei simili che non ritenne necessario ripeterlo con altri farmaci di provata efficacia, e si dedico' invece a testare gli effetti tossici di varie sostanze ed estratti vegetali (proving), che erano spesso note come veleni anziche' come farmaci, allo scopo di aumentare l'armamentario terapeutico a disposizione del medico omeopatico. Erano invece disponibili all'epoca un certo numero di farmaci di nota efficacia contro specifiche malattie, che Hahnemann avrebbe potuto provare su se' stesso o su colleghi compiacenti allo scopo di verificare la generalizzabita' della conclusione ottenuta. L'esempio piu' ovvio e' dato dallo scorbuto che causava una elevata mortalita' soprattutto tra i marinai in servizio sulle rotte oceaniche ed era stato estesamente studiato dagli inglesi; il medico James Lind a bordo della nave Salisbury aveva condotto vari esperimenti ed aveva concluso che il succo di limone (poi sostituito con l'altrettanto efficace succo di lime) era un rimedio specifico molto efficace. Il libro di Lind, Treatise on the scurvy, era stato pubblicato nel 1753 ed i suoi risultati avevano avuto ampia diffusione; Lind ed i suoi contemporanei non sapevano che lo scorbuto era una carenza vitaminica (il concetto di vitamina fu formalizzato da Casimir Funk nel 1912), ma questo sarebbe stato irrilevante per Hahnemann ed i suoi esperimenti. Hahnemann conosceva lo scorbuto ed i suoi terribili sintomi, quali le emorragie sottocutanee e gengivali e la caduta spontanea dei denti, e non gli sarebbe stato difficile autosomministrarsi succo di limone o di lime per vedere se erano in grado di indurre sintomi simili a quelli che certamente curavano; ma non lo fece. Un altro farmaco adatto all'esperimento era l'oppio, che seda il dolore somatico ma non produce dolore nei sani. Si potrebbe pensare che una simile procedura sia irrilevante per l'omeopatia: dopo tutto se un farmaco efficace risultasse non omeopatico si dovrebbe semplicemente concludere che non tutti i farmaci efficaci obbediscono alla legge dei simili, non gia' che la legge dei simili sia falsa. Questa obiezione e' corretta soltanto in teoria, perche' Hahnemann pensava che l'unica possibile ragione dell'efficacia terapeutica di un farmaco fosse la sua capacita' di indurre sintomi simili a quelli della malattia:
"This depends on the following homoeopathic law of nature which was sometimes, indeed, vaguely surmised but not hitherto fully recognized, and to which is due every real cure that has ever taken place: a weaker dynamic affection is permanently extinguished in the living organism by a stronger one, if the latter (whilst differing in kind) is very similar to the former in its manifestations." (S. Hahnemann, Organon, VI ed., par.26, enfasi aggiunta)

4: "... human diseases are nothing but groups of certain symptoms ..." (le malattie umane non sono altro che gruppi di sintomi specifici). Hahnemann (1843), Organon VI ed. 71, trad. ingl. J. Kunzli et al., Orion Books ltd., Londra, 2003. Sullo stesso argomento si veda anche ibid. 14-17.

5: In genere si assume che il manifesto dell'anatomia patologica moderna sia il "De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis" di Giovanni Battista Morgagni (il libro fu pubblicato nel 1761, quando Hahnemann aveva sei anni, e fu immediatamente tradotto in inglese, francese e tedesco). Pero' Morgagni nel suo libro cita altri testi, quali ad es. il Sepulchretum anatomicum di Bonnet, e le autopsie di altri anatomo-patologi, tra i quali il suo maestro, Valsalva, chiarendo che una solida tradizione di anatomia patologica era addirittura precedente. L'anatomia patologica e' una delle bestie nere di Hahnemann: "If the patient succumbs, the practiser of such a treatment is in the habit of pointing out to the sorrowing relatives, at the post-mortem examination, these internal organic disfigurements, which are due to his pseudo-art, but which he artfully maintains to be the original incurable disease. Those deceitful records, the illustrated works on pathological anatomy, exhibit the products of such lamentable bungling." (Organon V ed., par.74, nota a pie' di pagina).

6: "In the living organism a weaker dynamic affection is permanently estinguished by a stronger one, which, though different in nature, nevertheless greatly resembles it in expression." (Nell'organismo vivente una affezione dinamica piu' lieve e' permenentemente eliminata da una piu' forte che, sebbene diversa per la sua natura, sia pero' simile alla prima nella sua forma.) Hahnemann (1843), Organon VI ed. 26, trad. ingl. J. Kunzli et al., Orion Books ltd., Londra, 2003. Sullo stesso argomento si veda anche ibid. 34.

7: "The primary action that some of these remedies produce is perceptible to a sufficiently attentive observer, but the counteraction (secondary action) of the living organism is only as much as is needed to restore the normal condition." (L'azione primaria prodotta da alcuni di questi rimedi [omeopatici] e' osservabile se il medico e' abbastanza attento, mentre la reazione (azione secondaria) dell'organismo vivente e' intensa soltanto quanto e' necessario per riportare l'organismo alla sua condizione normale.) Hahnemann (1843), Organon VI ed. 66, trad. ingl. J. Kunzli et al., Orion Books ltd., Londra, 2003.

8: "La vie est l'ensemble des fonctions qui resistent a la mort." (La vita e' l'insieme delle funzioni che si oppongono alla morte.) Bichat (1800) Recherches Physiologiques sur la vie et la mort. Ed. Flammarion, Parigi, p.57.

9: "In the state of health the spirit-like vital force (dynamis) animating the material human organism reigns in supreme sovereignity" (Nello stato di salute la foza vitale spirituale (dynamis) che anima l'organismo umano regna con potere sovrano.) Hahnemann (1843), Organon VI ed. 9, trad. ingl. J. Kunzli et al., Orion Books ltd., Londra, 2003.
"Without the vital force the material organism is unable to feel, or act or maintain itself. Only because of the immaterial being (vital principle, vital force) that animates it in health and in disease can it feel and maintain its vital functions." ibid. 10.

10: R. Hughes, British Journal of Homoeopathy, Aprile 1878. Ristampato in appendice a R. Hughes, A manual of pharmacodynamics VI ed. (1893), B. Jain Ltd. New Delhi, India, 2001.

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